Lavoro nero, malcostume per meglio dire illegalità

di Marcello PADOVANO

Di questi tempi, sull’altare della competitività all’interno del mercato del lavoro in Italia, vengono immolati tanti dei principi i quali, al contrario, devono costituire le fondamenta di qualsivoglia pratica lavorativa.

Tralasciando solo per un istante il concetto di sicurezza sul lavoro nella sua accezione canonica di salvaguardia dell’incolumità fisica del lavoratore, la dignità e la sicurezza di un rapporto di lavoro non deve prescindere dall’aspetto tributario e previdenziale.

Il lavoro nero, come è noto, è un malcostume (per meglio dire, illegalità) la cui incidenza sull’economia del Paese fa sentire maggiormente i suoi effetti. L’economia sommersa, infatti, danneggia la collettività nella sua interezza mettendo a rischio l’erogazione di ogni tipo di servizio, anche quello più banale e scontato.

Per combattere questa piaga, l’ordinamento prevede sanzioni a carico sia del datore di lavoro che, in determinati casi, del lavoratore in nero.

Per ciò che attiene alla posizione del datore di lavoro, il legislatore come ultimo provvedimento ha introdotto nel D.Lgs. n. 151/2015 l’articolo 22, rubricato “Modifica di disposizioni sanzionatorie in materia di lavoro e legislazione sociale”.

Con esso vengono novellate le sanzioni pecuniarie nei confronti del datore di lavoro, fissandole in tre fasce in ordine di gravità e calcolate in base agli effettivi giorni di lavoro prestato:

  1. a) da euro 1.500 a euro 9.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a trenta giorni di effettivo lavoro;
  2. b) da euro 3.000 a euro 18.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da trentuno e sino a sessanta giorni di effettivo lavoro;
  3. c) da euro 6.000 a euro 36.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre sessanta giorni di effettivo lavoro.

Qualora, inoltre, il lavoratore in nero sia uno straniero irregolare o un minore in età non lavorativa, la sanzione è aumentata del 20%.

Nemmeno il dipendente impiegato in maniera irregolare, però, è esente da possibili conseguenze derivanti da tale situazione.

È il codice penale ad indicare quelle che sono le sanzioni in cui può incorrere il lavoratore in nero, specificatamente agli artt. 316 ter e 483.

L’art. 483 c.p. recita testualmente “Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni”. In questa fattispecie ricade, ad esempio, il caso di un lavoratore che abbia dichiarato lo stato di disoccupazione.

La situazione può aggravarsi qualora non soltanto il lavoratore in nero risulti, per lo Stato, disoccupato, ma percepisca o abbia percepito qualsivoglia tipo di indennità da parte di un Ente Pubblico.

In questo caso, occorre far riferimento all’art. 316 ter c.p.: “Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640bis (Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, n.d.r.), chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a tremilanovecentonovantanove euro e novantasei centesimi si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da cinquemilacentosessantaquattro euro a venticinquemilaottocentoventidue euro. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito”.

Poiché il reato di falso previsto dall’art. 483 c.p. resta assorbito in quello di cui all’art. 316 ter c.p. (Cass., Sezioni Unite, 16 dicembre 2010 – 25 febbraio 2011, n. 7537, CED 249105) in quanto costituisce elemento essenziale per la sua configurazione, non è possibile essere puniti per entrambe le fattispecie di reato.

Quale sia l’efficacia deterrente di tali sanzioni non è concretamente valutabile, le ispezioni dovranno senza dubbio intensificarsi e le denunce diventare puntuali.

Occorre, però, insistere in questa direzione per accompagnare, anche in maniera forzata, la collettività verso quel cambio di prospettiva e di mentalità necessario per debellare definitivamente l’idea che poter lavorare senza alcuna tutela sia accettabile ed economicamente sostenibile.

 

Safety Focus – Anno IV – Numero 02 – 4 Aprile 2017