Riposi obbligatori e danno “da usura psicofisica”

di Silvia NUTINI e Alessia BOLDRINI

 

Il mancato rispetto dei riposi obbligatori incide su diritti protetti dalla costituzione e fa insorgere un danno “da usura psicofisica” che va risarcito con i criteri del lavoro straordinario, è la conclusione a cui è giunta la Sezione Lavoro della Cassazione civile con la recente sentenza n. 14710/2015 del 14 luglio 2015.

La controversia nasceva dalla violazione del regolamento CEE n. 3820/1985,  oggi richiamato dall’art. 174 Nuovo C.d.S., da parte di un’azienda di trasporto pubblico. Questa aveva adibito alcuni dipendenti a turni di lavoro molto intensi che confliggevano con l’obbligo di assicurare un riposo minimo (11 ore giornaliere e 45 ore settimanali consecutive) agli autisti di mezzi per il trasporto delle persone su tragitti di oltre 50 km.

Il tribunale di primo grado riconosceva il risarcimento del danno ai lavoratori, condannando l’azienda a pagare le somme liquidate in via equitativa ai lavoratori per il danno da usura psicofisica. Parametro della liquidazione è stata la retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva di settore per il lavoro straordinario.  L’azienda proponeva appello, ma la Corte di Lecce confermava la decisione favorevole ai dipendenti.

Davanti al Giudice di legittimità, il datore ha lamentato tre punti della decisione: si doleva che la Corte d’appello avesse riconosciuto il risarcimento nonostante i lavoratori avessero usufruito di riposi compensativi; che non vi fossero prove del danno effettivamente subito dai dipendenti ed infine, che il risarcimento, calcolato sulla retribuzione degli straordinari, fosse eccessivo.

La Cassazione ha ricordato una precedente giurisprudenza secondo cui “il danno da stress, o usura psicofisica, si inscrive nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da inadempimento contrattuale e, in linea generale, la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto sofferto dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava l’onere della relativa allegazione e prova, anche attraverso presunzioni semplici.” Inoltre, con specifico riferimento al lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, aveva ritenuto (Sez. Lavoro Sent. n. 16398 del 20/08/2004) di distinguere il danno da “usura psico-fisica”, conseguente alla mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro, dall’ulteriore danno alla salute o danno biologico, che si concretizza in una “infermità” del lavoratore determinata dall’attività lavorativa usurante.

I lavoratori hanno adempiuto all’onere di prova dell’aumento della penosità del lavoro; avendo ciò incidenza su diritti costituzionalmente protetti e inerenti i diritti fondamentali della persona (art. 36 Costituzione), la valutazione della gravità dell’offesa e della serietà del pregiudizio, e quindi della sua risarcibilità,  sarebbe già operata dall’ordinamento. Pertanto “l’attribuzione patrimoniale spettante al lavoratore a causa della perdita della cadenza settimanale del riposo deve essere stabilita dal giudice secondo una motivata valutazione che tenga conto della gravosità delle varie prestazioni lavorative e di eventuali strumenti ed istituti affini della disciplina collettiva.”

La Cassazione ha concluso che, avendo il Giudice adeguatamente motivato in ordine al criterio di liquidazione del danno prescelto (è corretto il riferimento alla maggior penosità della prestazione lavorativa non accompagnata dai prescritti riposi giornalieri e settimanali), il ricorso andasse rigettato.

 

Safety Focus – Anno II – Numero 18 – 2 Novembre 2015