La tragedia di Marcinelle, ricordare per ricordarci

di Maria Carmela BONELLI

 

Sono trascorsi 73 anni dalla firma del Protocollo italo-belga, redatto a Roma il 23 giugno 1946, in seguito al quale partirono oltre 50.000 operai italiani, destinati ai cinque bacini minerari belgi e 63 anni dalla tragedia del Bois du Cazier, a Marcinelle.

I nostri connazionali, impegnati nelle miniere, permisero al Belgio di portare avanti quella battaglia del carbone, ideata ed avviata dal Primo ministro Achille Van Acker, per la risoluzione dei problemi economici del dopoguerra. Marcinelle interroga la coscienza italiana, perché l’Italia – in cambio dell’invio di manodopera – riceveva carbone; 200 kg al giorno per ogni lavoratore. In un anno la fornitura raggiungeva 2-3 milioni di tonnellate, necessarie alla ricostruzione della nostra industria.

 

Emigrarono per andare a lavorare sotto terra[1], in condizioni di disagio durissimo, anche a più di 1000 metri di profondità, ammalandosi di silicosi[2], lasciando la vita. Quanti? Dal 1946 al 1963 gli italiani morti nelle gallerie di carbone sono stati 867.

L’accordo del ’46  pesa ancora sui nostri emigranti – i sopravvissuti o i loro figli – perché le autorità italiane non controllavano le garanzie minime per una vita dignitosa.

Come avveniva l’invio? Come avveniva la selezione?

Di norma alla stazione di Milano. Un ex minatore racconta di essere rimasto tre giorni nei locali sotterranei della stazione: “eravamo messi come delle bestie: si dormiva per terra, le toilettes piene e non si poteva andare dentro”. La visita veniva effettuata da medici belgi e successivamente c’era l’imbarco sui vagoni diretti a Charleroi, strettamente sorvegliati; non potevano abbandonare il convoglio.

Un volantino rosa prometteva salari da favola[3], in un periodo in cui il lavoro era un sogno, ma all’arrivo cosa trovavano gli italiani? Venivano alloggiati nelle baracche in legno o in lamiera, ove pochi anni prima erano stati internati i prigionieri russi adoperati nelle miniere dai tedeschi, e dove furono rinchiusi i prigionieri tedeschi, utilizzati per i lavori forzati. I lavoratori delle viscere della terra accolsero le loro famiglie in queste baracche. Le strade non portavano un nome, bensì un numero. Sorsero i “ghetti” degli italiani intorno alle miniere.

Non esistevano i logements convenables, previsti dal punto numero 3 dell’accordo, né le persone di fiducia, una per ogni bacino carbonifero, previste dal punto numero 9.

 

Certo, nessuno degli italiani giunti in Belgio subito dopo la guerra aveva previsto, né era prevedibile, il boom economico che ci sarebbe stato dopo gli anni ’60. Un boom reso possibile anche dalle rimesse degli emigranti e dunque dei lavoratori delle miniere.

Partirono allo sbaraglio, poiché del Belgio non conoscevano nulla, ma con la sicurezza di ricevere una paga. Giungevano nel Paese nero e divenivano gueules noirs, cioè musi neri italiani. Fra i pochissimi conforti, solo la visita di qualche sacerdote o dei Missionari Scalabriniani e, prima di scendere nella miniera, la preghiera rivolta a S. Barbara e S. Leonardo. Di positivo c’era la parità retributiva; le discriminazioni erano sociali.

L’otto agosto del 1956, un mercoledì, alle ore 7 del mattino, 275 minatori scesero nel pozzo del Bois du Cazier. Verso le 8.10, un incidente nella gabbia-ascensore portò alla rottura di un condotto di olio sottopressione e di alcuni cavi elettrici: un’esplosione e l’incendio divampò furioso nelle gallerie rivestite di legno, alimentato dalla polvere di carbone presente nell’aria, la cui combustione produce ossido di carbonio. La miniera di Marcinelle era fra le più vecchie, di terza categoria, cioè tra le più ricche di grisou e quindi tra le più pericolose. I minatori, consapevoli del rischio, portavano con sé un topolino o un canarino in gabbia, capaci di avvertire immediatamente la presenza del terribile gas inodore, morendo.

Il fuoco fu alimentato dall’impianto di ventilazione; le vie di accesso al fondo erano bloccate. Gli uomini restarono intrappolati, senza scampo, in cunicoli stretti e bui. Alle 13.30, sulla porta di una galleria, un minatore in cerca di scampo scriveva: “fuggiamo davanti al fumo, siamo una cinquantina”. Non videro più la luce. Morirono per le fiamme o per il fumo. Si commise l’errore di allagare la miniera. Mancavano maschere antigas. Mancavano squadre di soccorso. Le porte stagne erano in legno. Il nuovo pozzo non era stato ancora collegato a quello di discesa.

La CECA convocò una conferenza sulla sicurezza nelle miniere, sfociata nel documento del marzo 1957; l’11 dicembre 1957 la nostra Nazione firmava un nuovo Protocollo, con il quale venivano modificate le condizioni di lavoro e di vita dei minatori emigrati in Belgio. Si pensi che Onorato Pasquarelli, un italiano che aveva perso una gamba in miniera, lavorava ancora sul fondo; cosa vietata dalla legge, perché aveva un arto di legno.

Non mancarono accuse sui ritardi, poiché inizialmente il governo belga aveva rifiutato i soccorsi. Solo il terzo giorno le squadre tedesche potettero varcare la frontiera.

 

Dunque, 73 anni fa la firma degli accordi italo- belgi. A partire dal 1946 migliaia di giovani italiani senza lavoro salirono sul treno della speranza; provenivano soprattutto dalle campagne o da paesi depressi.

Da contadini si improvvisavano minatori. Giungevano soli o in piccoli gruppi, lasciando le loro famiglie, le loro mogli, i loro figli. Al Belgio occorrevano braccia per spalare il carbone dalle miniere e le società carbonifere avevano bisogno di manodopera fresca e sana, per vincere la battaglia del carbone,  dal cui esito dipendeva il rilancio economico del Paese. Non si andava troppo per il sottile e le condizioni previste nei contratti di lavoro venivano rispettate con approssimazione.

Molti, che sapevano appena leggere e scrivere, ignoravano perfino quello che c’era scritto nei contratti.

La catastrofe di Marcinelle è impressa nella memoria dell’emigrazione italiana per le sue dimensioni e per la commozione e lo slancio di solidarietà che suscitò. Lo sfruttamento del Bois du Cazier riprese nell’aprile del 1857, ma l’attività terminò definitivamente nel dicembre del 1967.

Dal 2001, ogni 8 agosto, una campana suona al Bois du Cazier, per non dimenticare. L’8 agosto 1956 è un data-simbolo, che rappresenta il sangue, la fatica, la sofferenza, il calvario subito dalla nostra gente fuori confine; è l’emblema dell’umanesimo del lavoro calpestato ed è un atto di accusa contro lo sfruttamento disumano e la mancanza di sicurezza sul lavoro.

La campana, fusa nella Pontificia Fonderia Marinelli di Agnone (Isernia), porta il significativo nome di Maria Mater Orphanorum,  Maria Madre degli orfani[4]. Nell’ora in cui si scatenò l’incendio – prima di suonare a distesa in omaggio alle vedove e agli orfani – batte 262 rintocchi per i minatori morti a Marcinelle ( 136 italiani e 126 di altri Paesi) e altri 10 per i caduti in tutte le miniere del mondo. Perché in miniera si muore ancora….

 

Safety Focus – Anno VI – Numero 6 – 8 agosto 2019

 

[1] Per contratto, gli italiani avevano l’obbligo di lavorare per 5 anni nelle miniere, ma di fatto quasi tutti – non riuscendo a trovare altro lavoro – vi rimanevano. Coloro che rifiutavano di scendere nelle gallerie venivano rimpatriati. Quando lasciavano la miniera dopo aver lavorato per un certo periodo, anche di pochi giorni, dovevano rientrare a proprie spese e talvolta gli stessi minatori facevano la colletta per i propri connazionali.

[2] La silicosi, chiamata anche malattia del minatore, sarà riconosciuta malattia professionale solo nel 1964.

[3] Il manifesto della Federazione Carbonifera Belga, con sede in Milano, piazza S. Ambrogio 3, prometteva condizioni molto vantaggiose per il “lavoro sotterraneo”, disertato ormai dai belgi.

[4] Nella parte centrale è raffigurata la Mater Orphanorum, che tende la mano consolatrice ad una folla di giovani, simboleggianti gli orfani. Vi è anche una scena di miniera, con un lavoratore che spinge un carrello di carbone. Al centro, lo stemma della Regione Molise, a fianco quello del Municipio di Marcinelle e gli stemmi d’Abruzzo, Emilia Romagna, Calabria, Campania, Veneto, Marche, Sicilia, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Alto Adige, Lombardia e Puglia.