A 50 anni dalla tragedia di Seveso: tanti Comuni italiani ancora in ritardo sull’attuazione della Direttiva Seveso III

Massimiliano Palma: «Manca la preparedness. Serve un sistema strutturato di allerta e gestione condivisa delle emergenze»

di Redazione

Nel luglio del 1976, la tranquilla cittadina di Seveso fu teatro di uno dei più gravi disastri ambientali della storia italiana. Un’esplosione nello stabilimento chimico dell’ICMESA rilasciò nell’aria una nube tossica di diossina, lasciando un segno indelebile nella memoria collettiva e dando il via, negli anni successivi, a una serie di normative europee dedicate alla prevenzione degli incidenti industriali. Oggi, a meno di un anno dal cinquantesimo anniversario di quella tragedia, molte amministrazioni comunali italiane sono ancora inadeguate nell’applicazione della Direttiva 2012/18/UE, meglio nota come “Seveso III”.

A lanciare l’allarme è Massimiliano Palma, CEO di Regola, azienda italiana all’avanguardia nelle tecnologie per la gestione operativa in situazioni di emergenza-urgenza e parte del gruppo multinazionale Frequentis.

«Diversi Comuni non sono ancora pronti. E questo è un problema grave», afferma Palma. «Viviamo in un’epoca segnata da pandemie, crisi climatiche, conflitti e disastri tecnologici. Parlare di “preparedness” non può più essere un tema tecnico per pochi addetti ai lavori: dev’essere una priorità politica e culturale, da gridare a gran voce».

Secondo Palma, nonostante gli obblighi imposti dalla normativa europea, le difficoltà persistono soprattutto nella cooperazione tra enti locali e impianti produttivi a rischio e nella redazione e diffusione di piani di emergenza efficaci per la cittadinanza.

«In un contesto emergenziale, la capacità di mantenere attivi questi servizi è una responsabilità strategica. Non possiamo permetterci di essere impreparati».

Il richiamo a Seveso non è solo simbolico. Quella tragedia ha segnato l’inizio di una lunga riflessione normativa a livello europeo, sfociata prima nella Direttiva Seveso I (1982), poi nella II (1996) e infine nella Seveso III, attualmente in vigore. Quest’ultima amplia il campo di applicazione e impone obblighi precisi agli Stati membri in termini di prevenzione, pianificazione e informazione alla popolazione.

Eppure, a quasi cinquant’anni dall’accaduto, molti Comuni italiani non dispongono ancora di un sistema strutturato di gestione del rischio industriale. Le cause? Carenze di risorse, mancanza di competenze specifiche, complessità dei processi autorizzativi e, in alcuni casi, una sottovalutazione del rischio reale.

L’appello di Palma è chiaro: non aspettare il prossimo anniversario per tornare a parlare – magari solo per un giorno – di Seveso e della sua lezione. Occorre intervenire subito, investendo in tecnologia, formazione, pianificazione e dialogo tra pubblico e privato.

«Abbiamo gli strumenti. Abbiamo il know-how. E abbiamo il dovere di fare in modo che tragedie come quella di Seveso non si ripetano mai più. Non per memoria, ma per responsabilità».

Safety Focus – Anno XII – Numero 19 – 6 agosto 2025